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Compagnia Teatrale Soggetti Smarriti

I NOSTRI SPETTACOLI

Ecco tutti i nostri spettacoli.

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"TRAMONTO" di R. Simoni

adattamento in due tempi e regia di Franco Demaestri

Le opere dialettali del teatro verista a cavallo dei due secoli sono state spesso considerate inadeguate a raccontare passioni e drammi di autentici personaggi. Ed effettivamente spesso il loro campo di azione sembra limitato al macchiettismo di figure che paion più caricature che non veri e propri esseri umani. E se questo è vero per molto repertorio non lo è per autori che hanno saputo innalzare la loro opera oltre i ristretti confini del localismo provinciale. Ed è il caso dell'opera di Renato Simoni, Tramonto. Non capita al suo esordio, proprio per il pregiudizio sulle opere non in lingua, la commedia seppe col tempo e con la forza della sua qualità collocarsi tra le opere più significative del teatro italiano del primo novecento. Tramonto è un testo dove le dinamiche e le tensioni ricordano quelle del grande teatro di quell'epoca e i nomi di riferimento immediato sono quelli di Ibsen e Cechov. C'è, nei personaggi di questa commedia drammatica, la tensione di una ricerca di sé e dei rapporti con gli altri che anticipa lo smarrimento dell'uomo del '900. E c'è pure presa coscienza della donna che con fatica e sofferenza riesce ad emanciparsi da una condizione di sudditanza. L'opera si svolge nell'interno claustrofobico di una casa patrizia dove il conte Cesare esercita il suo potere assoluto appoggiato dalla tetragona rigidità dell'anziana baronessa, sua madre. Ma il conte non potrà parare la vendetta di un subalterno scacciato che gli ricorda il sospetto di un amante della Contessa sua moglie. E sarà questa la scintilla che attizzerà l'incendio della sua anima. Crolleranno le sue certezze e la sua protervia si sgretolerà fino a paragonarsi ad un "Arlechin finto principe"! Ma nello sviluppo di questa tragedia familiare si muovono altri personaggi che stemperano la cupezza del dramma con la loro viva umanità, inconsapevoli testimoni del tramonto di un'epoca che pareva così carica di certezze e di riferimenti. Scritto nel 1906 tramonto oggi si arricchisce del valore della preveggenza di quello che accadrà un decennio più tardi con lo stravolgimento di un mondo che finirà per sempre. Quest'opera mantiene in ogni epoca la sua forza perché pare ammonire gli esseri umani di quanti vivano male la bellezza della vita che è loro concessa!

"LA PRESIDENTESSA" di Maurice Hennequin e Paul Veber
traduzione, regia e adattamento scenico di Mariarosa Maniscalco

Rappresentata per la Prima volta a Parigi nel 1912, questa brillante commedia del genere vaudeville, ruota vorticosamente intorno al potere politico corrotto e a quello seduttivo, imposti da personaggi disposti a tutto pur di raggiungere i propri obiettivi .
Gobette, navigata soubrette dei primi 900, parigina e senza scrupoli che “ama per missione e non per passione”, giunge in provincia in casa dell'integerrimo Presidente del Tribunale di Gray Tricointe che ha ordinato di espellerla dopo una notte, alquanto turbolenta, passata con il Giudice Istruttore Pinglet. Gobette, in casa Tricointe, verrà scambiata dal Ministro della Giustizia Gaudet e dal suo Capo di Gabinetto Ottavio - innamorato di Dionisia, giovane e smemorata ragazza di buona famiglia, per la moglie del Presidente (Aglae) partita poche ore prima - donna intrigante ed afflitta da un'insolita “fissazione“. Testimone dell'equivoco: Sofia , cameriera alquanto naif di casa Tricointe. Alcuni dei suddetti, li incontreremo poi a Parigi, nel Ministero, affannati nel districarsi tra una doppia e forse tripla tresca, artefici di un notevole scambio di personaggi e di “letti” che produrrà non pochi effetti in nome del potere e forse... dell'amore; ad aiutarli o intralciarli: un usciere capo Marsigliese e “carogna”: Marius, un giovane ed ingenuo aiutante: Francesco, un povero Sotto Capo Ufficio: Bienassis - in trepida attesa di “prendere un treno” - un'amante tradita e vendicativa: Angelina, un curioso Agente Interprete del Ministero: Poche.
La pièce che ci è parsa incredibilmente attuale, nel suo intricato meccanismo teatrale, permette di valorizzare al meglio le doti di ciascuno dei tredici attori in scena e di farci riflettere, pur divertendoci, che in certi ambienti "niente è cambiato”.

"IL CAMPIELLO" di Carlo Goldoni

Il Campiello parla di un rapporto sociale ed etnico consolidato da una parte e stranieri (nobili o semi  nobili “foresti”) dall’altra , dove vinceranno i popolani respingendo l’intruso o meglio, gli intrusi , che
possono vivere con loro solo per poco, il campiello è del popolo, appartiene alle loro famiglie senza padri, famiglie matriarcali dove le giovani non possono stare in strada , devono stare ai loro balconi.
La strada è permessa per il gioco o per qualche colloquio intimo e solo se accompagnate. La strada è dei maschi e delle madri. Significativo lo scambio del fiore tra Gnese e Lucietta, che dovranno ricorrere, per lo scambio del dono , costato tanta fatica e lavoro a Gnese, ad un maschio . Sono le regole del tempo e del campiello e non vi è possibilità di cambiamento, la rottura di tali regole farà infatti nascere la prima baruffa tra due famiglie e nasceranno gelosie .
Il cavaliere, amabile ed intelligente di origini napoletane, mezzo nobile, figlio per parte di madre di una popolana, viaggiatore passionale e curioso, ama Venezia ed il campiello, vuole farsi accettare con la sua generosità, con i suoi doni, dice infatti: “nol cambierei con un palazzo augusto , ci ho con gente simil tutto il mio gusto” regala per bontà d’animo un sorriso a questa povera gente con l’unico pasto vero, forse l’unico dell’anno diventando quasi un “compare” , facendo entrare un po’ di carnevale che in questa indigenza non entra mai.
Il cavaliere è tra questa gente con discrezione mai con superbia. Alla fine quasi accettato dalla comunità, un cavaliere sì, ma senza parrucca e che alla fine dovrà andar via e con chi? se non con Gasparina, mezza nobile anch’essa, figlia di una straccivendola e di un nobile, che vuole andare da sempre via dal campiello, che ripudia la condizione plebea nel suo parlare ridicolo ma che forse nel finale , nel suo addio, un po’ rimpiange ora che finalmente lo vede distante. Gasparina orfana lascerà lo zio tutore, nobile ma rovinato dal gioco ed arricchito solo con un colpo di fortuna, che disprezza i popolani di cui non comprende il dialetto , continuamente infastidito da loro e che legge e legge e studia ma soltanto per scoprire un modo per vincere ancora al gioco e forse le sue letture sono il libro dei sogni.

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